Impressioni di agosto: emozioni sparse al rientro dal sud est asiatico
Non so se si tratta di una vera malattia. Questa smania di partire, visitare, scoprire mi fa battere il cuore come il primo appuntamento con il tipo dell’estate che ti piace tanto. Lo scruti per giorni, fantastichi su che cosa vi direte, provi i tuoi vestiti migliori e poi, all’improvviso, ti ritrovi a ridosso del “grande giorno” con il cuore che suona festa e gli occhi che luccicano di gioia.
![Donne che prega in una pagoda di China Town a Bankok [Foto di Friariella]](https://friariella.it/wp-content/uploads/2018/08/39442087_2209008872667187_4409480753428037632_o-e1535558504509.jpg)
Donne che prega in una pagoda di China Town a Bankok [Foto di Friariella]
Questo viaggio tra Vietnam, Cambogia e Thailandia mi ha emozionato dall’inizio alla fine. Mi ha dato quella giusta dose di adrenalina, fatica, gioia e malinconia di cui avevo bisogno dopo mesi di esilio da me stessa e dalla mia vita. Questo non è stato un viaggio deciso su due piedi, ma un’esperienza programmata e ideata da mesi. Ci sono stati giorni in cui facevo scorrere piano le dita sul mappamondo lungo i confini dei Paesi che volevo visitare, lasciando la porta aperta alla fantasia e all’immaginazione, per poi fare conoscenza di quelle sensazioni così forti e intense che non sapevo di poter provare.
Esistono tante sfumature di felicità che ho imparato a riconoscere grazie a questo lungo viaggio: la stretta allo stomaco sui gradini del primo aereo, lo stupore che ti assale davanti ad Angkor Wat, la gratitudine che ti avvolge le spalle quando i bimbi in strada rapiscono i tuoi occhi con il loro sorriso, la gioia di una pioggia estiva che smantella per pochi istanti l’afa vietnamita, la commozione che inonda gli occhi nei campi di concentramento di Phnom Penh, la tranquillità di svegliarsi ogni giorno con la persona che hai scelto di avere al tuo fianco.

Testa di Buddha, Wat Mahathat [Foto di Friariella]
Bisogna viaggiare di più per scoprire i confini di se stessi, per non rimanere fermi nel fango dell’indifferenza, nella melma dell’insoddisfazione, nel buio della inadeguatezza. Questo viaggio è stato per me tutto questo e, probabilmente, molto altro ancora che non so di aver avuto. Questo viaggio è stato un dono ricercato, voluto, desiderato, sperato proprio come il primo appuntamento dell’amore estivo.
“Come del resto alla fine di un viaggio c’è sempre un viaggio da ricominciare” canta De Gregori in una delle sue più celebri interpretazioni: una strofa che è diventato un mio mantra, tra le tantissime pellegrinazioni e le avventure che mi sono concessa fino a qui. Nonostante abbia ancora sotto le dita il sapore del pad thai e continuo a inchinarmi quando saluto le persone, la mia mente vola (e scusate il gioco di parole) alla mia prossima avventura.
Ecco, è questa “la malattia” di cui vi parlavo all’inizio: questa necessità di partire, scoprire, vedere ed emozionarsi davanti a nuovi tramonti, nuovi piatti da assaggiare e nuovi momenti da immortalare. Non sarà un caso se la prima cosa che ho fatto dopo 12 ore di volo – e dopo un cappuccino e un muffin al cioccolato – è stato acquistare l’ultimo numero di “Internazionale” dedicato proprio al viaggio.
Se proprio dovessi scegliere di partire adesso (e per adesso si intende in 12 ore), andrei negli USA. Il motivo? In realtà ce ne sono parecchi. Di certo le avventure di Paola di “Scusateiovado” in Alaska mi stanno davvero incuriosendo, ma se c’è un posto che ho voglia di vedere è un altro. Sulla rivista da me acquistata ho letto un interessante e simpatico articolo di Susan Harlan su “ Unclaimed baggage center ”.
Si tratta di un negozio che da anni raccoglie e poi vende il contenuto dei bagagli che non sono stati più ritirati. Ma ci pensate? Uno parte con la valigia e poi se la scorda, o decide di non ritirarla più o semplicemente resta lì. Quante storie di vita possono essere racchiuse in una valigia? Chi siamo senza il nostro bagaglio e chi vogliamo essere con le nostre cose? Leggendo questo articolo mi sono fatta queste e tante altre domande,
anche e soprattutto, dopo aver vissuto questa lunga avventura tra Vietnam, Cambogia e Thailandia, dove ho deciso di assoggettare i miei limiti.
Quello che mi incuriosisce di questo museo in Alabama è che per tanti potrebbe sembrare un bazar di oggetti di seconda mano, mentre penso che in realtà sia uno di quei luoghi dove poter riflettere su se stessi e sul senso delle cose.
Chiaramente dopo aver divorato l’articolo e dopo solo un’ora dal mio arrivo in Italia, ho iniziato già a cercare informazioni per un ipotetico viaggio in Alabama. Per prima cosa ho cercato in Internet dritte in merito alle polizze sanitarie che so essere fondamentali negli States, avendo loro, come Stato, un sistema sanitario molto costoso, mi sono perciò imbattuta in AIG che offre un’ottima, sicura e completa assicurazione sanitaria usa, poi ho cercato anche come raggiungere l’Alabama, qual è il periodo migliore per visitare questo Stato, dove dormire a Scottsboro.
In fondo ve l’ho detto: il viaggio, più che una terapia, è una dipendenza che sono felice di avere

About friariella
Travel blogger per caso, Napoletana per scelta. Sono un'intalliatrice agonistica e campionessa mondiale di aperitivi e bis. Mi piace viaggiare low cost, amo la buona musica e di ogni festa divento il giullare.