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Magari domani resto

«Non posso, domani torno a casa»

«A casa?»

«A casa dove?»

Giusto: a casa dove? Avevo dieci anni quando Jovanotti pubblicò la canzone “Questa è la mia casa”. La canticchio ancora ogni tanto. Sembra il mio mantra o forse no: questa è la maledizione. Il concetto di casa è così strano per me. Casa è quel posto dove sono cresciuta, dove ho scelto di restare, dove sono capitata inseguendo la mia realizzazione professionale.

È tanto difficile staccarsi da quei posti che ci hanno fatto stare bene, che ci hanno reso più maturi, che ci hanno scorticato le ginocchia a furia di cadere e che ci hanno tenuti svegli fino a notte inoltrata sperando di ritrovare quel silenzio dei pensieri prima di dormire.

Ci hanno chiesto di essere poco “choosy”, di saper scegliere tra un’opportunità e un fallimento annunciato. Io l’ho fatto: è stato un lento pellegrinaggio il mio, fatto di stanze in appartamenti condivisi dalle pareti sottili da sentire a volte anche il respiro altrui, di vite divergenti costrette a resistere in uno spazio vitale piccolissimo, di amicizie nuove e di vecchi mai più esistiti.

È per me casa il sole caldo che illumina la vista sulla raffineria ormai dismessa di Napoli, il rumore dei bomberos alle 9 del mattino del sabato a Barcellona, il cornetto di San Lorenzo a Roma, la pioggia insistente di Biella, la maestosità della Consolata di Torino, l’odore forte degli allevamenti di Reggio Emilia.

Ogni angolo di queste città è stato per me casa. Eppure nonostante gli anni, nonostante il tempo che abbia messo tra le ricorrenze spese e i passi lenti tre le vie, per i tramonti collezionati a bordo degli autobus, mi sento ancora sospesa tra ciò che ho lasciato e ciò che vorrei fosse mio. Come un eterna naufraga, cerco lo spazio che diventerà mai mio. E adesso penso che magari un giorno resto e trovo un posto che sia casa. La mia nuova casa.